| Fattoria dei Potter, ore 2.40
Dalila si rigirava nel letto, non riusciva a prendere sonno. Ripensava ancora alla serata trascorsa al Talon, e si chiedeva cosa ci fosse in lei di tanto sbagliato… non le sarebbe importato molto, se spesso questo qualcosa non l’avesse fatta sentire anormale, isolata, incapace di prendere la vita con allegria e semplicità, come facevano gli altri. Si tirò su a sedere. Le coperte le scivolarono via dal corpo, e rimase per un po’ a fissare gli strani disegni creati dai raggi della luna che filtravano dalle persiane accostate. Le tornarono in mente le parole di Harry, e dovette ammettere che era vero: era sempre vissuta più di sogni che di realtà, e anche quando aveva una cotta per Clark non era mai riuscita a dirglielo. Succedeva diversi anni prima, certo, ma era l’emblema del suo atteggiamento in certe sfere della vita: era troppo riservata, troppo restia a concedersi, troppo cervellotica. Doveva scendere sulla Terra e darsi una svegliata. Si alzò e camminò verso la finestra, scostò la persiana per osservare i campi bui, bagnati dalla luce della luna, la strada sterrata che li tagliava obliquamente, bianca nella semioscurità. In lontananza, si scorgeva la sagoma della fattoria dei Kent… e a quella vista, Dalila sorrise involontariamente. Clark le era sempre piaciuto tanto perché istintivamente capiva che erano simili: anche lui sembrava un po’ diverso dagli altri, sebbene non sapesse spiegarsi in che modo. Era stata presa da lui finché il desiderio di normalità non si era fatto sentire con forza, dentro di lei… finché non si era resa conto, forse inconsciamente, che non avrebbe mai potuto essere “normale” e guardare in faccia la realtà, se continuva a sognare di Clark, perché sognare lui era come sognare le stelle e la luna, era come vedersi riflessa in uno specchio, e questo non l’avrebbe aiutata a cambiare, a diventare come lei avrebbe voluto essere. Sospirò, riaccostando le persiane, e in silenzio scivolò di nuovo sotto le coperte, sperando di riuscire ad addormentarsi.
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