| Giorno 4, Mattina - Smallvile, Casa McRan.
Penny Lane non avrebbe saputo dare un significato al suo ultimo sogno : era con Arthur, intenta a scaricare i bagagli di Lana, ma l’ amica non aveva con sé poche vettovaglie, bensì enormi e pesanti scatoloni color porpora, che Penny portava nell’ appartamento. La mobilia diminuiva proporzionalmente al numero di scatole, alla fine il soggiorno era uno spazio dalle pareti d’ un bianco abbagliante, Lana era intenta a muoversi tra invisibili fornelli, e Penny Lane notò, il lampadario. C’ era una corda robusta appesa ad esso, c’ era il collo sottile d’ una donna, con un taglio crudele dovuto al contraccolpo che le aveva spezzato le ossa; il cranio dai capelli lunghi e mossi pendeva come un oggetto senza nerbo, gli occhi seguivano le dita, distese e graffiate, come se avesse lottato con la morte che s’ era scelta, e vedeva la vestaglia gialla tingersi di rosso, una tonalità cupa, violenta, nauseante, insozzava la seta all’ altezza del ventre; le gambe nude avevano tracciati piccoli sentieri, ruscelli in secca del liquido vitale. Penny si chinava al suolo, sull’ aura di sangue che circondava il corpo della madre, avvertiva i tremiti, la sua incredulità, la sua strana, insensata certezza che la mamma stesse giocando. Un fagotto, grande quanto un posacenere, forse meno, vermiglio, rannicchiato, contorto, un filo che pendeva da esso. Penny lo tastava : era carne. Penny lo prendeva fra le dita : era un feto… No, era suo fratello, era un sorta di bambino mai sviluppato, non era un fratello. La sua innocenza che scivolava via, in un grido, in una verità, in una notte ormai terminata, eppure mai finita. Il sole le accarezzava il volto, le lacrime asciutte sulle ciglia pesanti : un nuovo giorno da vivere, o da fingere di vivere. “ Le sorprese ti aspettano. Perché poltrisci a letto ?” trillò la voce metallica della radiosveglia. “ Perché mi va, razza di idiota, e tu con chi sei andata a letto, per avere questo programma ?” sbottò la ragazza, il tono di voce sibilante ed impastato di sonno. “ Penny, parli pure con la radio, adesso ?” le domandò la zia, dalla camera che stava rassettando. “ La mia spericolata vita sociale prevede codesti interlocutori” rispose ella, con uno sbadiglio . Gandalf non era ai piedi del letto, con stupore, Penny lo vide acciambellato nell’ incavo del suo braccio sinistro. L’ arto era indolenzito, quasi avesse uno sciame di vespe nelle vene e rigido, lo scostò gemendo; il gatto si stiracchiò, annoiato e con il piccolo e soffice muso diede il buongiorno a Penny Lane. “ Fai colazione, Penny ?” chiese Wanda. “ Sì, zia, ehm… Sarà meglio riempire anche questo batuffolo di peli!" disse vezzeggiando il suo adorato Gandalf. Il silenzio era spezzato solo dalle fuse dell’ animale e dalle risate trattenute di Penny, le zampine di Gandalf fendevano l’ aria fresca della mattina. Quando la giovane si girò notò una luce brillare aritmicamente sullo schermo del telefono cellulare. “ Santo Dio ! Tutti i maniaci di Smallville si sono passati il mio numero… Se lo chiamassi * Lionel * o un nome banale come… Come * Bruce* li farei smettere !” Controllò il numero, sorrise e aprì la chiamata. “ Buongiorno, Arthur, sei al lavoro ?” lo salutò Penny Lane. “ No, sono in crociera con una splendida donna… Faresti un favore ad un povero vecchio, ragazzaccia ?” replicò Arthur Archer. “ Sì, vecchio derelitto, ordina” rise lei. “ Ho perso la biografia di Sylvia Plath, prima che l’ avessi letta, se me ne procurassi una copia, Penelope, te ne sarei grato, io non ho tempo di fare compere” disse l’ uomo. Penny lo sentì aspirare, il vizio del fumo lo seguiva da quando sua zia aveva i capelli biondi. “ Hai tempo per farti venire un cancro ai polmoni, no ?” lo stuzzicò Penny Lane. “ Una Rookwood moralista è un grottesco spettacolo, ragazzaccia, piuttosto, tu cosa fai a parte niente ?” la imbeccò Arthur, serio, quasi severo, aspirando con soddisfazione la sigaretta. “ Io studio, con discreto profitto” ribatté duramente Penny. “ Cara, mi hai preso per tuo padre ? Su, cosa fai per renderti utile alla società ?” insistette Arthur. Era più padre di suo padre, forse perché esserlo era stato il suo unico desiderio. “ Non resto incinta” disse laconica. Archer rise : “ Penny, so che hai un discreto conto in banca, e una carta di credito, ma se ti trovassi un impiego, un lavoro favorirebbe di molto… La tua serenità” consigliò bonariamente, per quanto bonario potesse suonare, l’ uomo. “ La mia serenità ? Fammi il favore, Arthur, tu sei sereno ? No, e sgobbi da mattina a sera” brontolò Penny Lane. “ Io non ho 17 anni e una vita di opportunità davanti, sei a inizio partita, Penny, datti una mossa, hai la testa e la bellezza per essere vincente !” soggiunse Arthur. “ Vincente come Astrid, Arthur William Archer ?”. Una domanda che era un colpo di frusta. “ Taci ! Credi che io mi diverta a vederti ridotta come un panno per spolverare, senza nulla per cui vedere il domani ? Hai tante ragioni per non mollare, tu sei la prima ! Io… Io ti voglio bene, lo sai, non ti lascio a terra e neppure tuo padre”.Tono alterato, Penny si figurò il suo sguardo torvo e malinconico. “ Ti voglio bene, papà” mormorò. “ Lo so, Penny, pensa a quello che ti ho detto… Tesoro, lascia che sia il tuo padrino e tuo padre merita quel nome” sospirò infine Arthur. “ Va bene, papà, ti chiamerò zio, perché lo vuoi tu, non perché lo merita lui. Ti comprerò il libro” concluse lei. “ Ti ringrazio, Penelope”. “ Io pure… Zio”. Penny spense il telefono, nessuna chiamata anonima sino a pranzo, si promise.
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