| Giorno 5 - Sera - Smallville
"Dannazione nera!!!"
Per l'ennesima volta Lucas era inciampato sul sentiero insidioso, rischiando un incontro ravvicinato del peggior tipo con qualche albero irto di spunzoni. Si fermò, girò intorno lo sguardo per orizzontarsi. Sentiva battere forte il cuore, e il respiro sembrava bloccarglisi in gola. "Paura del buio, ragazzo?" Trasse un profondo respiro, obbligando i polmoni a dilatarsi per accogliere l'aria umida e pesante di odori. "No, non del buio. Il buio mi è amico - giù in città. Nel buio della città, io sono fra i predatori. Ma qui…”
La luce bianca della luna penetrava dalle aperture fra i rami in lunghe striscie che sembravano avere una consistenza solida, e nel toccare terra creavano una confusione di luci ed ombre che lo intralciavano invece di aiutarlo. Il bosco non era silenzioso, non più di quanto lo fosse un vicolo apparentemente deserto – ma a quei suoni estranei non sapeva dare un’origine, una spiegazione. No, non era stata una buona idea andare a passeggiare nel bosco per cercare di sbollire la rabbia lasciatagli dal colloquio con Lex.
Più avanti l’oscurità sembrava meno fitta, si intravvedeva uno spolverìo di stelle. Troppe stelle. Nessuna luce di origine umana che facesse loro concorrenza. Camminando con cautela, Lucas avanzò in quella direzione finché il sentiero lo portò fuori dagli alberi. Si trovava su un pendìo, più in alto di quanto pensasse. Il sentiero continuava ad arrampicarsi verso la cima di una ripida scarpata, davanti a lui il terreno sprofondava con uno stacco netto. La notte aveva tramutato la piatta campagna del Kansas in uno studio in bianco e nero, punteggiato di stelle. La bocca di Lucas si tese in un sorriso ironico. Stelle… prosaiche lampadine accese ad illuminare vite altrettanto prosaiche. “Lucas! Spegni la luce, tesoro, domani devi andare a scuola.”
Lucas batté le palpebre, scacciando il ricordo di quella voce gentile ma sempre un po’ troppo tesa. Da troppo tempo la madre non faceva più parte della sua vita. Vita in cui erano invece entrati un padre formidabile e un fratello imprevedibile. Quella trovata di offrirgli la direzione della LexCorp… Lucas si appoggiò ad un albero, fissando la pianura lontana senza vederla per davvero. Un’offerta generosa, se doveva essere obiettivo – specialmente provenendo da una persona con la quale aveva già tentato il gioco delle tre carte. Eppure… istintivamente, la destra di Lucas salì ad allargare il colletto della camicia… “Ho diciotto anni, Cristo! Come fa Lex a non capire?”
Il rumore di un’auto che arrancava lungo il pendìo opposto distrasse appena Lucas dai suoi pensieri; non fu stupito dal fatto che si fermasse sulla cima: era il tipico posto per un belvedere da innamorati…
Qualcuno si mise a urlare. Un uomo, decisamente arrabbiato.
Finalmente, un suono familiare.
Il buonsenso avrebbe consigliato di girare i tacchi… ma la curiosità ebbe la meglio. Convincendosi che fosse meglio andare ad indagare piuttosto che rischiare di ritrovarsi alle spalle un nemico sconosciuto, Lucas si arrampicò lungo il sentiero, sfruttando le ombre e gli affioramenti di roccia per tenersi al coperto. Altre urla, una seconda voce maschile… Lucas si bloccò. “Clark Kent? Ma che diavolo…”
"Ma bene. La tua confessione ti costerà la vita!"
“Chiunque sia questo tizio, non fa parte del club dei suoi ammiratori.” Il pendìo si era fatto ancora più ripido, Lucas doveva aggrapparsi ai sassi e ai cespugli.
"Clark!!"
“E questa? Non sembra la voce di La…”
Un sasso si scalzò da sotto la mano di Lucas, che perse la presa e scivolò giù, evitando per miracolo di ruzzolare fino in fondo alla scarpata; con uno sforzo disperato, graffiandosi le mani a sangue, riuscì ad aggrapparsi ad una radice scoperta e fermare la caduta. Rimase immobile, gli occhi chiusi, aspettandosi che qualcuno là in alto venisse richiamato dal rumore della piccola frana – ma a quanto pareva avevano troppo da fare per conto loro. Con il cuore che batteva a mille, decise di tornare sul sentiero e inoltrarsi fra gli alberi. Rumori di lotta, rumore di legno spezzato. Ma che diavolo stava succedendo, là sopra?
Finalmente arrivò sul terreno piano, all’ultima fila di alberi e cespugli. Si affacciò a spiare cautamente.
Un tizio nero come l’asso di picche, che avrebbe fatto la sua bella figura come caratterista in un film stile Hellraiser, incombeva su Clark Kent raggomitolato a terra. Una ragazza bionda, sottile, osservava la scena come pietrificata
"Ti fa male, eh?"
A giudicare dalla faccia, Kent stava soffrendo per davvero. “Hellraiser” doveva avere il pugno proibito… e adesso si stava dirigendo verso la bionda, minaccioso. La ragazza neanche provò a scansarsi, né a lottare; si lasciò prendere il collo e sollevare in aria come una bambola di pezza, come se fosse rassegnata a morire.
Il sogghigno di Spike si accentuò, trasformando il suo viso in una maschera agghiacciante; si stava godendo ogni momento…
…e di colpo lanciò un breve grido di sorpresa. Clark riuscì a trovare la forza di alzare la testa – per vedere Chloe che scivolava via dalla morsa micidiale di Spike, accasciandosi a terra. Il gigante urlò di nuovo, roteando su se stesso e stringendosi con la sinistra l’avambraccio destro: degli spunzoni di metallo opaco spuntavano dalla pelle scura, che si stava rapidamente striando di sangue. Qualcosa vorticò in un lampo oscuro, come se assorbisse la luce della luna e dei fari invece di rifletterla – la testa di Spike scattò indietro, la mano insanguinata che brancolava dietro la nuca, il corpo possente scosso da uno spasimo convulso – e qualcosa lo colpì subito sotto il pomo d’adamo, spezzando il suo ruggito di dolore.
Barcollando alla cieca, coperto di sangue, Spike si allontanò di qualche passo verso la strada asfaltata; dalla gola squarciata adesso usciva solo un gorgoglìo roco. Rallentò, le sue gambe si piegarono – cadde in ginocchio, combattendo per rialzarsi – non ci riuscì. Si abbattè come un masso, contorcendosi, finché si rannicchiò su un fianco, le membra possenti afflosciate, la forza brutale che lo abbandonava insieme ai fiotti di sangue che scorreva dalla sua gola e si raccoglieva in una pozza vischiosa sul terreno, troppo arido e sassoso per assorbirlo. E rimase immobile.
Per qualche momento in cima alla scarpata tutto rimase immobile e silenzioso, tranne che per il respiro affannoso di Clark e Chloe. Poi una figura sottile si staccò dalle ombre del bosco, venne avanti con le braccia conserte. Un giovane. Un ragazzo dai corti capelli corti e ricci, le sopracciglia folte aggrottate, e un mezzo sorriso arrogante.
"Ma bravo, Kent. Ti ringrazio."
"Pe… per cosa?" balbettò Clark, cercando di strisciare lontano dalla borsetta di Chloe.
Lucas si chinò a raccoglierla. "Per avermi dato la possibilità di ripagarti. Tu mi hai salvato la vita… io ho salvato la tua. Siamo pari." Con quel tono, un guerriero Klingon avrebbe potuto aggiungere: “la prossima volta potremo ammazzarci senza perdere l’onore”. Fece scattare la chiusura della borsetta con un gesto secco, senza accorgersi del sospiro di sollievo dell’altro giovane.
Chloe si era rialzata in ginocchio, le mani strette intorno alla gola ammaccata.
"Chloe! Come ti senti?" chiese Clark in tono ansioso.
"Sta… stavo meglio prima."
Lucas le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. "Ti serve un dottore?"
"Mi serve…una macchina fotografica. Un registratore. O almeno un blocchetto per gli appunti." la voce di Chloe era ancora rauca, ma l’istinto del reporter aveva già preso il sopravvento. Praticamente strappò la borsetta dalle mani di Lucas, frugandovi dentro.
Lucas le lanciò uno sguardo penetrante. "Chloe… la bionda del “Torch”?"
"Lucas… il figlio di Luthor? Wow, valeva la pena di essere quasi strangolata, per una storia come questa! Come hai fatto ad abbattere Terminator?"
Con un sorriso, Lucas si frugò in tasca estraendone una piatta scatoletta di metallo, ne fece scattare il coperchio, ne tirò fuori un piccolo oggetto: una specie di stella metallica, irta di spunzoni. "Shuriken. Affilate come coltelli, micidiali come pistole, e attirano molto meno l’attenzione dei poliziotti, in caso di perquisizione. Naturalmente, devi saperle usare."
La ragazza annuì, la luce bianca della luna che scintillava sui capelli chiari. "Chi era quel tipo, Clark? Cos’aveva a che fare con te?"
"Chloe!" con disperata urgenza Clark protese la destra verso di lei, le dita allargate come a volerla fermare. "Avrai tutte le spiegazioni che vuoi, ma non qui, non adesso!"
"Intendi dire “non in presenza di estranei”, Kent?" Lucas girò intorno lo sguardo, prendendo nota delle tracce di lotta feroce. "Vi siete dati da fare… E’ stato lui a sradicare quell’albero, suppongo. Ma i brandelli di camicia impigliati in quel tronco rotto sono tuoi." si avvicinò a Clark, gli occhi socchiusi a studiare il suo volto intimorito. "Neanche un livido. Eppure, cinque minuti fa non ti potevi neanche muovere. Cos’hai confessato a quell’uomo, Kent? Perché quella confessione avrebbe dovuto costarti la vita?"
Silenzio. Un silenzio tale da poter sentire i lievi scricchiolii del motore dell’auto che si raffreddava. Chloe aprì la bocca, intercettò un’occhiata di Clark e la richiuse. Lucas spostò lo sguardo dall’uno all’altra, con rabbia gelida. "Vedo. Avervi salvato la vita non mi concede il diritto di considerarmi uno di voi." Lucas si accostò velocemente al cadavere di Spike e si chinò su di lui, strappandogli una shuriken di dosso. Chloe sussultò nel sentire il suono della carne straziata.
"Che fai?" obiettò Clark. "La polizia…"
"I Luthor non si immischiano con la polizia. Prenditi il merito di aver fatto fuori questo bestione, Kent, se ti fa piacere. Io riprendo quel che è mio e vado per la mia strada." ripulì alla meglio le stelle metalliche insanguinate sulla camicia di Spike, si rialzò con un movimento fluido, dirigendosi a lunghi passi verso l’oscurità del bosco. "Tenetevi stretti i vostri segreti. Teneteli bene in caldo - per quando ci rivedremo. Per me."
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