Smallville Italia

Mad World, 2° episodio GdR

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Lois Lane GdR
view post Posted on 3/7/2004, 00:15




Giorno 6 - Metropolis - Pomeriggio

Il sole illuminava tutto l'appartamento. Lois stava leggendo alcuni vecchi articoli sugli strani incidenti e particolari coincidenze che erano avvenuti a Smallville nell'ultimo decennio e comunque, dopo la pioggia di meteoriti. Fatti inspiegabili. Concentrati prevalentemente nei precedenti due anni. Persone con comportamenti ai limiti della follia, un gruppo di liceali sistematicamente coinvolto in casi assurdi perfino per i più mentalmente aperti degli inquirenti. Scosse la testa incredula.
"Roba da pazzi, e chi se lo aspettava" pensò. "Voglio vederci chiaro, devo chiedere a Perry un paio di giorni di vacanza, o meglio di astensione volontaria, come gli piace chiamarle le "vacanze". Passerò dagli zii e nel frattempo darò un'occhiata in giro."E poi c'era lui, Lex. E c'era la moglie, Helen Bryce. Chissà cosa nascondeva. Qui si andava ben oltre la gelosia. Se le voci che aveva sentito qua e la a metropolis si fossero rivelate vere, la cara mogliettina infelice poteva nascondere alcuni scheletri nell'armadio, scheletri pesanti.
Anche su questo avrebbe indagato, infondo er ail suo mestiere. Poggiò tutte le carte sopra il tavolinetto di vimini e si sfregò gli occhi con una mano. Era sveglia da più di ventiquattro ore filate, non aveva dormito nulla quella notte, sempre per lavoro, ma la sua mente non ne voleva sapere di mettersi in pausa.
 
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Lex Luthor GdR
view post Posted on 23/7/2004, 00:57




Metropolis, l’assolato e caldo mattino del settimo giorno

La luce del giorno, che filtrava dalle finestre dell’attico, svegliò Lex abbastanza presto. Non era una novità. Ogni secondo che passava dormendo, era tempo perso ai suoi occhi. L’iperattività era l’unica cosa che consentiva alle sue azioni di tenere il passo alle idee.
Scese in strada e fece una colazione leggera in un lussuoso bar, ma quando uscì gli sembrò di stare ancora sognando: non troppo lontano da lui si ergeva con sguardo fiero l’uomo che aveva visto il giorno prima al semaforo. Un uomo che conosceva bene, perchè con lui aveva diviso un’esperienza tremenda. Un uomo che però avrebbe dovuto essere morto.


“Signor Luuuuthoooor!!!” La fastidiosa voce nasale di Bob distrasse Lex per un attimo, giusto il tempo necessario a far sparire quella misteriosa visione, che peraltro passò in secondo piano rispetto al disgustoso comportamento del barbone.

“Gradirei, Bob, che tu non urlassi il mio nome per strada. Non amo molto farmi notare insieme ad un viscido reietto della società come te.”
“Potrebbe essere più gentile signor Luthor” Ghignò l’obeso ficcanaso.
“Ti ho pagato da bere, una cena e una stanza in un albergo che, benchè squallido, non ti saresti mai potuto permettere. Sono stato fin troppo gentile con te maiale alcolizzato.”
“Ehi ehi si calmi... vedrà che non farà un cattivo affare quando stasera la porterò al posto dove sta sua moglie.”
“Lo spero, perchè il pensiero di dovermi liberare del tuo cadavere in caso tu non stia dicendo la verità mi disgusta. Adesso vattene, ho cose importanti da fare. Ci vediamo alle 18.00 al tuo albergo per andare a Edge City.”
Lex fece per allontanarsi, ma Bob gli si parò davanti, tirando su col naso.
“Non dimentica qualcosa?” disse sfregando insieme pollice e indice.
Lex sospirò e alzando gli occhi al cielo gli allungò qualche spicciolo per il pranzo.
“Non sia mai che tu vada a Edge City a stomaco vuoto...”Liberatosi della molesta presenza, Lex salì sulla vettura che doveva accompagnarlo ai laboratori Cadmus.

Il dottor Metz aveva appena finito di compilare il suo rapporto quando il suo datore di lavoro si presentò alla porta del suo ufficio.

“Giusto in tempo signore. Ho appena stampato i risultati delle ricerche che aveva richiesto per quel campione di terreno.”
Lex sorrise. “Mi devo congratulare con lei, dottore.” disse aprendo il fascicolo e sfogliandolo. “Può sintetizzarmi le conclusioni del suo lavoro, prima che vada?”
“Beh il risultato delle analisi è stato sorprendente. Le radiazioni erano totalmente fuori norma e abbiamo trovato polveri di meteorite in percentuali mai registrate prima. Qualunque cosa sia esplosa in quel posto, non era di questa terra.”
Lex si diresse all’uscita, non tentando nemmeno di nascondere la sua soddisfazione.“Sorprendente dice? Ci creda o no, dottore, era esattamente quello che mi aspettavo.”
 
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Lionel Luthor GdR
view post Posted on 29/7/2004, 22:31




Giorno 7, Metropolis - Sera

"Dopo aver passato il pomeriggio in preda al panico riguardo a cosa si sarebbe messa, Léa aveva infine deciso di osare e aveva optato per un abito lungo dello stesso colore delle rose che Lionel le aveva mandato: rosso fuoco, delle sottili spalline ricamate e con un sensualissimo spacco laterale dal ginocchio in giù. Si era tirata su i boccoli scuri in un morbido chignon impreziosito da un fermacapelli a forma di orchidea, l' acconciatura le lasciava scoperti il collo e la schiena e aveva indossato gli orecchini di brillanti che la nonna paterna le aveva lasciato. Si era appena concessa qualche goccia di profumo dietro le orecchie quando il campanello suonò e lei scese ad aprire.

“Buonasera, mia cara” esordì baciandole la mano “Sei splendida” Lei non potè fare a meno si arrossire.
Lionel era puntualissimo, elegante e sorridente più che mai, la condusse alla lussuosa limousine parcheggiata davanti alla libreria, non mancando di destare la curiosità dei passanti e dei clienti dei vari locali, affacciatisi alle vetrate con gli occhi sgranati dallo stupore.
Durante il viaggio conversarono piacevolmente dello spettacolo a cui avrebbero assistito di lì a poco, così arrivarono a Metropolis in meno tempo di quanto Léa si fosse aspettata.
Il teatro della città era stato restaurato grazie alla generosa donazione della Fondazione Luthor, per cui il loro ingresso non passò inosservato ai fotoreporter d’assalto assiepati all’entrata e alla buona società presente alla prima di quella sera. “Non farci caso” le sussurrò, sorridendo disinvolto a tutti e presentandola ad alcuni editori e mecenati di sua conoscenza, lei nascose la sua insofferenza a quei flash e quelle chiacchiere con persone sconosciute con lo stesso sorriso di Lionel.
Léa scoprì con piacere che il palco d’onore apparteneva alla famiglia Luthor, così poterono godere di una vista ottimale sulla rappresentazione in scena.
Suo padre era stato un ammiratore dell’opera quando era piccola, ma non le era mai capitato di assistere a un balletto, così rimase senza fiato di innanzi al dramma di Siegfried e Odette e degli eterei e tragici cigni , e l’immortale musica di Tchaikovskyi la trasportò sulle ali di un sogno, accompagnandola sulle rive di un lago incantato e in una reggia fiabesca fino all’emozionante finale.
La travolgente bellezza dell’amore e della morte a cui aveva assistito la commossero profondamente, e volgendo lo sguardo sopraffatto verso il suo compagno trovò nei suoi occhi la comprensione di ciò che stava provando, in un’intimità che solo gli amanti di quelle arti meravigliose che sono la danza e la musica conoscono e possono condividere.
Sfuggendo abilmente alla folla i due raggiunsero la limousine, che li portò all’attico di Lionel, nel quartiere più lussuoso della città, dove li attendeva un’elegante tavola apparecchiata per due e l’ottima cena francese preparata dallo chef personale di Lionel, innaffiata dai vini più pregiati della collezione.
A Léa sembrava di essere finita in un film, tutta quella girandola di emozioni e di lusso le faceva quasi girare la testa e dovette ripetere a sé stessa più volte che non era un sogno, mentre la voce sensuale di Lionel le accarezzava i sensi.

“I grandi balletti del 19°secolo si basano quasi tutti su un binomio di fronte al quale il protagonista maschile non sa scegliere, e la sua indecisione porta quasi sempre alla tragedia: vedi nel Lago dei Cigni, in Giselle e in La Sylphide, ad esempio” dissertò lui, finita l’aragosta.
“Quale binomio?” chiese lei interessata.
“La scelta fra la donna eterea, angelica, ideale come il cigno bianco e la silfide, e quella più umana, sensuale e violenta come il cigno nero e la fidanzata Effie” spiegò lui.
“In pratica l’uomo vorrebbe averle tutte e due” rise Léa finendo il costoso vino dal suo bicchiere di cristallo.
Lionel divertito annuì
“Si, è così in effetti. Ma ogni tanto un grande uomo riesce a scovare la perla nera, una donna unica e preziosa, che incarna entrambi gli ideali allo stesso tempo, e insieme raggiungono vette di insperata grandezza ” disse sporgendosi verso di lei, le fiamme delle candele riflesse nelle iridi verdi e nel sorriso malizioso “E io credo di averla trovata, la mia eterea, sensuale, delicata e violenta musa”
Léa per un attimo si gelò: possibile che sapesse tutto? Sapesse di sua madre, della sua malattia e di quello che aveva fatto lei, del vero motivo per cui si era trasferita dal Canada?
Lo guardò negli occhi: si, lo sapeva. Un uomo come lui sapeva sempre con chi aveva a che fare, anche solo per motivi di sicurezza.
Lionel continuava a sorriderle, come se le stesse leggendo nei pensieri. In un lampo di comprensione, Léa capì: non solo sapeva, ma approvava, anzi forse lei le piaceva ancora di più per questo. Non c’era bisogno di spiegazioni, non c’era più bisogno di nascondere nulla, né la vergogna né il piacere che aveva provato nell’essere cattiva. Lionel sapeva, e capiva.
Un sorriso si allargò sul suo viso, in risposta a quello di lui.
Giocherellò capricciosa col bicchiere
“Potrei anche abituarmi, a tutto questo lusso” disse scherzando.
“Fa pure, mia cara” rispose lui compiaciuto, alzandosi e invitandola a ballare sulle note morbide di Glenn Miller e Gershwin, soli nel grande salone, allacciati in un ballo lento e dolce. “Ho grandi progetti per noi” disse tenendola stretta ”ma ora giochiamo” rise sornione, tirando fuori dalla tasca un foulard di seta bianca col quale le bendò gli occhi.
Léa lo lasciò fare divertita, circonfusa del calore che sentiva dentro, dovuto al ballo, al vino e a quell’uomo pieno di sorprese.
Lionel la guidò per stanze che non conosceva, fino a fermarsi; stava alle sue spalle e la teneva delicatamente per le braccia. Léa sentiva il cuore battere furiosamente nel petto e il sangue fluirle alle guance.

“Ho in mente una casa editrice tutta tua, Lèa” le disse
Léa senti il respiro di lui sulle sue spalle nude, desiderando follemente che ponesse fine al suo tormento.
Lei rise piano
“E come la chiameremmo? Edizioni Léa Brialy?”
Lionel le sfilò abilmente il vestito, le mani vellutate sulla sua pelle candida, infiammata di desiderio.
No” disse lui, baciandole l’incavo del collo, spazzando via ogni suo dubbio per far posto a qualcosa di nuovo e terribilmente eccitante “Edizioni Léa Luthor, se lo vorrai” concluse, mettendole al collo qualcosa di piacevolmente freddo.
A Lèa mancò il respiro, e durante quell’attimo di shock Lionel le tolse la benda.
Erano di fronte alla città intera, illuminata e romantica, immensa, e loro la dominavano dalla cima del grattacielo più alto, un re e una regina davanti al loro impero.
Riflessi nella grande vetrata c’erano loro due, lui alto e bellissimo che la guardava, lei nella sua corta sottoveste bianca in pizzo e seta, le lunghe gambe nude, i tacchi altissimi, e una incredibile collana di diamanti e rubini al collo.

“Sposami, Léa” le sussurrò lui all’orecchio, sconvolgendo i suoi sensi torturati.
Bastò quell’attimo, e Léa finalmente seppe quale destino avrebbe scelto.

Ore dopo Léa si sveglio in un grande letto, felice e appagata, in quel nuovo mondo che adesso le apparteneva. La sensazione della seta bianca sulla pelle nuda era davvero deliziosa. Si voltò, e al suo fianco c’era una rosa rossa dal gambo lungo. Sorrise. Il suo uomo era una persona indaffarata, ma attenta ai particolari.
Scese dal letto avvolta in un lenzuolo, e fece per andare verso la stanza da bagno, quando notò qualcosa di insolito vicino alla finestra: un grande cavalletto con una tela montata sopra.
Si avvicinò e guardò qualcosa che la ammutolì di incredulità e piacere: era il suo ritratto, un grande quadro a olio in uno stile ricco e passionale, non ancora terminato ma ben definito, che la ritraeva addormentata, allungata come un gatto, nuda, innocente e sensuale, il sorriso sulle labbra ai primi raggi della pallida alba .
Restò a guardarlo per molto tempo, si amò in quel dipinto, e ne amò ancor di più il pittore.
Si, era quella la realtà, non aveva più bisogno di sognarla fra le pagine di un libro, adesso ne era la protagonista.


 
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Helen Bryce GdR
view post Posted on 24/8/2004, 09:44




Helen guardò l’orologio. La sera era scesa da poco sulla città, ma il buio in una notte senza luna sembrava più avvolgente che mai. Erano le 21 in punto quando varcò la soglia del vecchio palazzo.. Si augurò di trovare finalmente ciò che aveva cercato. Da lì a poche ore sarebbe stata fuori città, sul primo aereo diretto in Francia, dove avrebbe iniziato la sua nuova vita con il nome di Emmanuelle Vaugier. Era a un passo dal riuscire.
Arrivata al quarto piano bussò energicamente alla porta. Sentì quasi subito la voce di Johnny che le diceva di entrare. Lui era seduto alla sua solita scrivania. Non perse tempo e si diresse immediatamente verso di lui:
"Hai quello che ti ho chiesto?"
"Wow, nemmeno un saluto, vai veramente di fretta cocca. Certo che ho quello che mi hai chiesto. Tu hai i soldi?"
Helen s’innervosì a sentirsi chiamare ancora cocca, ma decise saggiamente che quello non era il momento per fare la schizzinosa, c’erano in ballo cose ben più importanti. Aprì la borsa e mostrò i soldi all’uomo “Eccoli”.
La richiuse immediatamente. Ti do la borsa appena vedo i documenti”.
"Certo cocca, certo". Johnny aprì un cassetto e tirò fuori il passaporto. Nel farlo urtò leggermente dei fogli che caddero, lasciandone scoperto uno. Lo sguardo di Helen cadde immediatamente sulla foto a colori che spuntava da uno di essi. Si riconobbe subito. Era una foto del suo matrimonio. Una foto che di certo non era stata lei a fornire.
Il tutto avvenne in pochi secondi. Johnny seguì lo sguardo di Helen e vide ciò che stava guardando. Un secondo dopo i due sguardi si incrociarono. Johnny capì immediatamente che Helen aveva capito e portò la mano alla pistola sotto il tavolo. Ma Helen fu più rapida. Afferrò le forbici sulla scrivania e con un colpo secco e preciso gliele infilò nella giugulare. Johnny non riuscì a emettere che un suono strozzato mentre il sangue sgorgava copioso. In quel istante la porta si aprì, Helen afferrò il passaporto e si buttò nella stanza vicina mentre sentiva il sibilo di una pallottola che la sfiorava. Riuscì a chiudere la porta appena un attimo prima che altri spari la raggiungessero.
Nella stanza Helen notò subito la finestra che portava alla scala antincendio esterna. Si precipitò fuori dalla finestra, mentre sentiva l’uomo sfondare la porta. Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi e vedere il viso di chi la seguiva, sentiva solo i passi dell’uomo avvicinarsi sempre di più sulla scala. Riuscì ad arrivare nella strada sottostante e cominciò a correre. L’uomo continuava a seguirla e sembrava sempre più vicino. Probabilmente non sparava per essere sicuro di non sprecare altri colpi. E aveva ragione. Dopo nemmeno duecento metri Helen, con un’angoscia mista al più nero sconforto, si accorse di essersi infilata in un vicolo cieco. Si voltò lentamente e osservò l’uomo ormai vicinissimo che, lentamente, con un leggero e ironico sorriso, la osservava mentre alzava la canna verso di lei. Si dice che in punto di morte uno rivede la propria vita. A Helen non veniva in mente nulla. Solo, d’istinto, chiuse gli occhi come se il non vedere avrebbe scacciato quella presenza. Poi sentì lo sparo. Ma non percepì dolore. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che non era stata colpita, aprì gli occhi e vide l’uomo a terra di fronte a lei. Alzò lo sguardo e vide silenziosa una figura avvicinarsi. Strabuzzò gli occhi per vedere meglio ma nel buio nero della sera non riuscì a distinguere quasi nulla. Quando si avvicinò notò un uomo alto, elegantemente vestito di nero. Ma fu solo quando distinse la sua testa priva di capelli e sentì la sua voce calda, che ebbe la certezza di chi si trattasse.

"Prima che tu ti senta in dovere di ringraziarmi, Helen, voglio che tu sappia una cosa" disse Lex puntandole la pistola ancora fumante alla fronte. "Il prossimo colpo è per te."
 
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Lex Luthor GdR
view post Posted on 25/8/2004, 17:25




Edge City e dintorni, Giorno 7, Subito dopo.

La mano di Lex tremava leggermente mentre impugnava la pistola e guardava il volto allarmato di Helen. Sarebbe riuscito ad ucciderla? Fino a un momento fa ne era sicuro, ma ora, di fronte a quella bocca che aveva baciato fino a una settimana prima, a quegli occhi supplicanti ma orgogliosi, di fronte alla donna che amava e odiava più di ogni altra, desiderava solo liberarsi dalla gravosa responsabilità di scegliere se premere o no il grilletto.

Helen approfittò di questa esitazione per riprendere lucidità di pensiero:

"Non ti servirà a nulla spararmi, Lex"
“Hai tentato di uccidermi.” rispose Lex cercando inutilmente di nascondere l’irritazione. “In qualche modo devi pagare. E adesso che mi hai appena visto uccidere un uomo non posso certo consegnarti alla polizia.”
”Lo sai benissimo che non ti denuncerei Lex. Non adesso. Devi credermi Lex quando dico che sono dalla tua parte. So cosa stai pensando in questo momento. Ma sono stata costretta. E’ una storia lunga, non ti ho detto tutto di me. Un tempo io facevo parte di un’Organizzazione e uccidevo su commissione. Mi avevano incaricato di sedurti e ucciderti. Non so perché, ma qualcuno ti vuole morto. Io dovevo essere il killer, ma dopo averti conosciuto tutto è cambiato. Mi sono innamorata di te. Credimi. Ho cercato di tirami indietro, ma mi hanno minacciata. E ho avuto paura. Non ti ho avvelenato sull’aereo, ma solo dato del sonnifero perché speravo tu riuscissi a salvarti. So che quello che ho fatto e imperdonabile, ma credimi quando ti dico che ogni notte da allora è stata per me un incubo”.
“E perchè dovrei credere a tutta questa storia?” disse Lex.
”Chi credi lo abbia mandato l’uomo che cercava di uccidermi? Era una trappola ben congeniata. Stanno cercando di cucirmi la bocca e di farmela pagare perché ho fallito”. Rispose Helen.
Lex puntò la pistola lontano da Helen. “E va bene, voglio darti una seconda possibilità, Helen, anche se è molto più di quanto meriti. La mia proposta è questa: adesso andiamo via di qui, poi cercheremo di scoprire chi voleva la mia morte, dopodiché tu sparirai per sempre dalla mia vita e non ti farai più vedere per nessuna ragione. Se mi hai mentito, o cerchi di ingannarmi, ti ucciderò senza pensarci due volte.”
”Va bene Lex. Ma non è di me che devi avere paura. Non più. L’organizzazione è veramente pericolosa. Ora siamo tutti e due sulla lista dei prossimi decessi. Sono l’unica alleata che hai. Hai bisogno di me, come io ho bisogno di te”.
“Saranno i fatti a dimostrarlo, non le parole. Ho un’auto parcheggiata dietro questa baracca. Vai avanti tu e non dimenticare che ti tengo sotto tiro.”

I due corsero fuori e salirono sull’auto che partì sgommando e si allontanò lasciando dietro di sé una tondeggiante figura, che nella concitazione degli eventi era stata presto dimenticata: Bob il barbone. L’espressione insolitamente acuta e maliziosamente sorridente tradiva una subdola capacità manipolatoria a lungo celata. “Luthor, povero idiota, credevi davvero che un semplice barbone potesse trovare tanto facilmente una fuggitiva astuta come la Bryce? Ancora una volta la tua arroganza ti ha impedito di ragionare... Tutto è andato secondo i piani, ora che siete insieme potrò facilmente uccidervi entrambi...” Bob estrasse di tasca un telecomando. “Non appena azionerò il detonatore che ho nascosto sulla tua auto, tu e la tua cara mogliettina verrete inceneriti e io intascherò la taglia che l’Organizzazione ha messo sulle vostre teste.”
Lex guidava ignaro della minaccia che pendeva sul suo capo. “Dove stiamo andando?” chiese Helen
“Lontano da qui, mentre penso a un posto sicuro dove nasconderci.” disse Lex.

D’un tratto Lex, col volto colmo di stupore, inchiodò, facendo uscire l’auto di strada. Lui e la moglie uscirono dalla macchina, spaventati ma illesi.”Cosa diavolo stai facendo Lex? Potevi ammazzarci!” urlò Helen.
Lex sembrava in stato confusionario. “Non hai visto un uomo in mezzo alla strada?”
Helen non capiva. “Certo che no! non c’è nessuno qui, puoi vederlo tu stesso.”
Lex si fermò a riflettere. “E’ sparito... come un fantasma... è la terza volta che mi capita, forse la mente mi gioca brutti scherzi... Deve essere così, l’altra ipotesi è ancora più spaventosa: che lui sia tornato per me... Perché non c’è alcun dubbio che l’uomo che ho visto era...”Il flusso dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto da una violenta esplosione, che lo spinse, insieme ad Helen, dall’altra parte della strada: Bob aveva azionato la bomba dentro la sua auto.

I due si ritrovarono intontiti e doloranti fuori dalla statale, nascosti dalle alte spighe di un campo di grano. Lex fu il primo a rompere il silenzio, sottovoce.
“Hanno tentato nuovamente di ucciderci...”
“Ti avevo avvisato Lex. L’organizzazione è potente e pericolosa. Non si ferma finché non raggiunge il suo scopo.” Helen si interruppe un attimo, poi riprese: “Cosa facciamo adesso?”
“Ho una proprietà non lontano da Edge City, la raggiungeremo a piedi e una volta là ci prepareremo ad affrontare i nostri nemici. Se hanno visto l’esplosione ora ci credono morti, abbiamo poco tempo prima che scoprano il contrario, ma se lo sfrutteremo al meglio sarà sufficiente.”Helen annuì, e insieme al marito si incamminò verso la casa di Edge City, dove, dopo un breve riposo notturno, avrebbero cominciato a meditare la loro vendetta.
 
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Clark Kent GdR
view post Posted on 27/8/2004, 16:36




Intanto a Smallville

“Accidenti, sono passati tre giorni da quando sono tornato e ancora non ho visto Lana” pensò Clark disteso sul suo letto. Ma era stata pura distrazione? Certo il ragazzo aveva avuto da pensare ad altro. Negli ultimi due giorni i suoi pensieri erano stati tutti su Chloe. O meglio su ciò che aveva scoperto. Certo, Clark non avrebbe mai permesso che qualcuno morisse, specialmente un’amica come Chloe, solo per preservare il suo segreto. Ciononostante doveva ammettere che la ragazza era una gran chiacchierona e che niente superava il suo spirito di giornalista. Neppure l’amore che provava per Clark
“In più” ripensò il ragazzo “in questo ultimo periodo Chloe era leggermente arrabbiata con me, per la questione di Lana.”
Ma d’altra parte come avrebbe dovuto reagire Clark? Se lo diceva ai suoi chissà cosa sarebbe successo. E infondo delle minacce non sarebbero servite a niente. In più c’era un’altra cosa. Per la seconda volta nella sua vita aveva volato. Rivedeva la sua immagine che con Chloe tra le braccia si fermava a mezz’aria. Ma un problema alla volta.
“Forse è meglio che esca di casa” si disse alzandosi dal letto
Si andò a sistemare i capelli e a indossare qualcosa di carino. Prese qualche dollaro dal suo fondo privato (un recipiente di latta in camera sua) e andò a comprare una rosa rossa.

“Chi è la fortunata ragazzo?” gli chiese la commessa
“Lana Lang. La conosce?”
“La proprietaria del Talon? Però…” sorrise “direi che miri in alto”
“In teoria siamo già insieme”
“Cosa vorrebbe dire in teoria?”
“È una storia troppo lunga da spiegare”
“Ok, in bocca al lupo” lo salutò la commessa del negozio
“Grazie, arrivederci”
Clark si incamminò verso il Talon, ignorando l’impulso di pestare un paio di teppisti che lo insultarono. Finalmente vide le insegne del suo locale preferito. Le porte erano chiuse e le luci semi spente. All’interno c’era solo la solita ragazza dai capelli neri di cui Clark era profondamente innamorato, intenta a rimettere a posto i tavoli. Clark entrò nel locale, facendo suonare il campanellino posto in cima alla porta.
“Mi dispiace, siamo chiusi” disse Lana senza neppure alzare lo sguardo dal tavolo che stava pulendo e continuando a mettere bicchieri e tazze sul vassoio “Niente cappuccino e torte fino a domani”
“Veramente non sono qui per il cappuccino” disse Clark sorridendo mentre la ragazza si dirigeva verso il bancone. Lana si bloccò, voltandosi lentamente. Guardò Clark con gli occhi colmi di gioia e stupore insieme, neanche si rese conto di aver lasciato cadere il vassoio con tutti i bicchieri sopra, che probabilmente gli sarebbe costato un’ora in più di pulizie per terra. Non gli interessava. Corse verso Clark a braccia aperte, lo abbracciò e lo baciò con tutta la passione che aveva in corpo
Clark ricambiò il bacio con dolcezza. Quando alla fine si staccarono, Clark le diede la rosa e si sedettero a un tavolo.

“Clark, ma dove sei stato in questi giorni?”
“Ecco…avevo bisogno di riflettere un po’ sui miei errori”
“Quali errori?”
“Ecco, per un motivo…strano…in pratica sono stato io a far perdere il bambino a mia madre e…”
“…avevi paura della reazione dei tuoi.” Concluse Lana evitando di sprecare fiato a chiedere come aveva fatto, tanto conoscendolo non avrebbe risposto.
“Si…” disse Clark stringendosi nelle spalle e tirando un profondo sospiro
“In ospedale mio padre mi ha praticamente cacciato”
Lana gli si avvicinò e lo prese per mano.
“Tuo padre non era arrabbiato con te. Non penso proprio che tu l’abbia fatto di proposito. Era semplicemente furioso perché tua madre aveva perso il bambino. Se la sarebbe presa così anche con me o con qualsiasi altra persona. Tu non avevi motivi di andartene”
“Avevo paura di poterti fare del male. Non potrei resistere sapendo che potrei arrecarti dolore e…”
Lana lo zittì
“Adesso non preoccuparti. È tutto finito e tu non ti devi preoccupare di niente. Infondo quante volte mi hai salvato” “Fin troppe” pensò lei
“Sì, è vero ma…”
“Questo dimostra quanto sia nobile il tuo animo. Diverse volte hai anche rischiato la tua vita per me. Non credo potresti mai farmi del male.”
“Sì, ma se accidentalmente perdessi il controllo? Come è successo con quel ragazzo qui fuori?”
“Beh…al massimo cosa potrebbe succedere? Anche se inavvertitamente mi dessi una spinta, finisco a terra e allora? Mi rialzerei o al massimo potrebbe esserci una slogatura, niente di imperdonabile”
“Già” disse Clark “però se perdo il controllo e ti do una spinta rischi di entrare in orbita.”
Lana sorrise
“Sono felice che tu sia tornato”
“Anche io”
Si baciarono di nuovo
“Adesso però dovrei andare. Tu vieni con me?” le chiese
“No, avevo finito, ma mi sono scivolati i bicchieri a terra e ora ne ho per un altro po’ e poi abito in un’altra zona ora.”
“Beh, almeno ti posso aiutare a pulire”
“No, non importa”
“Facciamo così, ti faccio un giochetto di prestigio. Tu conta fino a cinque con gli occhi ben chiusi e vedrai che lo sporco in terra scomparirà”
Lana lo guardò piuttosto scettica, ma accettò. Chiuse gli occhi e mormorò a voce alta
“Uno…due…tre…quattro…cinque” Aprì gli occhi. Clark non si era mosso di una virgola, o meglio questo era ciò che lei pensava. Nel tempo che aveva gli occhi chiusi Clark aveva pulito per terra e raccolto i cocci di vetro. E tornato a sedere
“Beh, questi giochi i prestigio mi piacciono” disse lei sorridendo “però ora ho un attimino da fare con le contabilità e roba varia.”
“Ok, allora ti lascio ai tuoi soldi. Ci vediamo”
“Va bene” si baciarono “Buonanotte”
“Buonanotte a te Lana”
Clark si allontanò mentre Lana annusava nuovamente la rosa che il ragazzo le aveva portato. Un peso se lo era tolto, Lana era stata molto più comprensiva e dolce di quel che pensava. Ma adesso veniva il difficile: dire la verità ai genitori, e cioè che Chloe conosceva il suo segreto…
 
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Léa Brialy GdR
view post Posted on 2/9/2004, 19:53




Giorno 8 - Metropolis

Léa si trovava ancora nella stanza da letto, dopo una lunga doccia calda si stava vestendo, Lionel le aveva fatto l' ennesima sorpresa, una scelta di abiti delle migliori firme, la sua preferenza cadde su un vestito leggero blu scuro in lino con una scollatura quadrata, lungo fino alle ginocchia, si sistemò i capelli in una fascia bianca e andò verso la porta, qualcuno aveva appena bussato. Davanti a se vide un uomo dai tratti orientali, era l' incofondibile maggiordomo di Lionel, "buongiorno signorina, se vuole seguirmi la colazione è pronta" disse senza una minima espressione in viso. Attraversarono il corridoio che portava alle camere da letto, il salone principale ed infine entrarono in uno studio di medie dimensioni, doveva trattarsi del luogo in cui Lionel esponeva le sue collezioni, si potevano trovare libri, strumenti musicali, spartiti, dischi, quadri e collezioni di armi antiche. Mentre Léa cercava di capire chissà quale tortura poteva provocare uno strano strumento appeso al muro, il maggiordomo tirò le tende illuminando la stanza e aprì la porta finestra che dava sulla terrazza, l' uomo dagli occhi a mandorla le fece gentilmente segno col braccio di uscire.Il sole ormai era alto nel cielo, una leggera brezza rinfrescava la mattinata estiva e smuoveva le foglie delle innumerevoli piante che ornavano l' esterno dell' attico. Léa si avvicinò al cornicione per poter osservere dall' alto Metropolis di giorno, guardando verso il basso vide il fiume di auto che attraversavano le strade della città e le persone ridotte a piccoli puntini che camminavano per raggiungere i propi posti di lavoro. In quei pochi secondi il maggiordomo era andato e tornato dalla cucina col vassoio della colazione, lo appoggiò su una lunga tavola in legno scuro protetta dal sole da una grigliata ricoperta da piante rampicanti. L' uomo di fiducia del signor Luthor si congedò chinando leggermente il capo, Léa lo ringraziò, mangiò qualche chicco d' uva e una fetta tostata con marmellata e si diresse per la seconda volta verso il cornicione sorseggiando un succo d' arancia, i grattacieli non erano più illuminati dalle luci artificiali come la scorsa notte ma riflettevano la luce del mattino. Ricordare ogni momento della serata appena trascorsa era una sensazione piacevolissima, tuttavia nessun regalo da chissà da quanti migliaia di dollari poteva competere con lo sguardo di approvazione ricevuto, Lionel la aveva riportata al passato, eppure per la prima volta era stato una esperienza gradevole, quel tacito consenso rappresentava l' inizio di una grande intesa, ma con un pensiero ben impresso nella mente, stava per sposare Lionel Luthor, non si sarebbe mai illusa di venir a conoscenza di tutto quello che girava intorno a quella famiglia. Accettare questo fatto significava non creare problemi nella loro storia.
Léa tornò alla tavola, vicino alla vassoio c' era un fascicolo con una copertina in pelle nera con il logo della LuthorCorporation che poco prima non aveva notato, conteneva le informazioni per la creazione della casa editrice, ne sfogliò alcune pagine, Léa ne era entusiasta, ma sedersi sulla poltrona più importante solo perchè stava per diventare la moglie di uno degli uomini più potenti non le andava giù, doveva rifletterci attentamente prima di prendere una decisione.



Lèa durante la mattina decise di uscire, non visitava Metropolis da parecchi mesi e aspettare Lionel a casa non era un' idea molto allettante, ma appena uscita dal palazzo sentì il cellulare squillare, l' identità della persona risultava privata, Léa rispose. Dall' altra parte del telefono c' era sua madre, si pentì subito di non aver ignorato quella chiamata.


"Ciao mamma." si limitò a dire.

Quella telefonata così ravvicinata alla serata appena passata non le quadrava.. Forse, qualcuno tramite giornali aveva informato sua madre del suo appuntamento, la curiosità probabilmente era più forte delle sua voglia di non sentirla più.


"Ciao Léa... come stai? E' da tanto che non ci sentiamo.."
"Splendidamente."
Per qualche secondo rimasero in silenzio. "Mamma, non ci sentiamo da due anni, se hai qualcosa da dirmelo fallo subito e finiamola qui.
La madre recepì il chiaro messaggio:"Mi hanno fatto vedere una tua foto... hai una relazione con quell' uomo?"
"Sì."
"E' molto più grande... Ma... sei certa di..?"
"Sì, sono sicura", ora dev... Léa voleva interrompere quell' assurda conversazione, ma la madre continuò.
"E' una cosa serie, avete dei progetti?"
"Oh mamma, se avremo dei progetti, te lo assicuro, tu sarai la prima a saperlo, disse Léa prima di riattaccare e confondersi con i cittadini di Metropolis.
 
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Lex Luthor GdR
view post Posted on 5/9/2004, 21:36




Giorno 8, Nei pressi di Edge City, Mattino

Lex fu il primo a svegliarsi, mentre fuori era ancora buio. Aveva lasciato Helen in uno stanzino senza finestre e sbarrato la porta in modo che non fuggisse o tentasse nuovamente di ucciderlo.

“Probabilmente la sua storia è vera, ma potrebbe anche decidere di fare il doppio gioco nella speranza che la misteriosa organizzazione che mi vuole morto le risparmi la vita...”

Lex si guardò intorno: lui ed Helen si stavano nascondendo in una fattoria dismessa qualche chilometro fuori da Edge City, che Lionel Luthor aveva usato per un certo periodo come laboratorio.

“E’ quasi un miracolo che abbia trovato questo posto, considerato che ne sono venuto a conoscenza solo qualche giorno fa mentre esaminavo l’elenco delle proprietà della LuthorCorp che mio padre mi aveva ceduto. E’ un buon nascondiglio, le porte e i muri sono stati rinforzati, c’è una linea telefonica e un po’ di strumentazione è sopravvissuta allo smantellamento del laboratorio... E soprattutto i sistemi di sicurezza sono ancora attivi: se non avessi avuto con me la tessera magnetica della LuthorCorp sarebbe stato impossibile entrare.”

In poco meno di un’ora Lex riuscì a collegare un computer alla rete e decise che avrebbe liberato Helen solo dopo aver fatto qualche ricerca per conto suo: non poteva assolutamente fidarsi di lei.

“C’è solo una persona che può aver messo la bomba sulla mia auto... E a quanto pare doveva avere una certa esperienza con le armi... Cercherò di entrare in qualche database governativo... Non sembra difficile, questa attrezzatura sembra stata costruita proprio per questo scopo... chissà perchè questo laboratorio è stato abbandonato così in fretta... Spero che non ci sia niente di pericoloso qui intorno...”

Passarono un paio d’ore e il sole cominciava a splendere attraverso le piccole finestre quando l’immagine di Bob apparve sullo schermo. Lex sorrise orgoglioso.

“Vediamo chi sei Bob... Robert Edward Dawkins, nato il 14 maggio 1961... Entra nell’esercito giovanissimo... Curriculum notevole... Cinque anni nell’esercito agli ordini del Sergente Frank Rock... Poi è passato alla CIA quando appoggiava i Talebani contro i Russi in Afghanistan... Durante la guerra del Golfo ha ottenuto un riconoscimento per aver salvato la vita al maggiore Samuel Lane... Un vero professionista, e con amici importanti per giunta. Stranamente dopo il Golfo ha lasciato la CIA e l’esercito, probabilmente per una carriera più sicura e più redditizia... Interessante, pare che il commissario Gordon di Gotham City stesse indagando su di lui, poco prima di essere assassinato...”

Ogni informazione riempiva Lex di soddisfazione. All’improvviso sentì battere su una porta: Helen si era svegliata e chiedeva di uscire dalla sua pur confortevole prigione. Lex le disse che le avrebbe aperto tra breve. Spense il computer e sorrise.

“Hai commesso due errori Bob Dawkins. Hai cercato di uccidermi e non ci sei riuscito. Presto toccherà a me.”
 
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Luke Martinez GdR
view post Posted on 19/9/2004, 08:40




Giorno 8, Mattino - New York City

I suoi occhi avevano visto troppe cose. Le sue mani avevano fatto troppe cose.

Dopo una ricca colazione, l'uomo completò la toilette. Cosparse di soffice schiuma bianca il volto e preso un rasoio iniziò a radersi. Allo specchio poteva vedere riflessi quegli occhi non più suoi. Anche la sua famiglia avrebbe potuto avvertire il cambiamento, ma non sapere.. a meno che non fosse stato lui a volerlo. Il colore era sempre lo stesso, blu, ma quanto gelidi erano diventati.. in modo insano. La mano, imperturbabile a quelle sue riflessioni, guidava la fredda lama lungo il collo.. agiva, come sempre.

La sera addietro Edward era stato al telefono con la figlia più giovane. Sorrise pensando a lei. Col suo primo stipendio volle regalargli un computer ultraportatile da appena 800 grammi, un vero gioiello della tecnica. Si trovava in Francia, dove da due anni lavorava come ricercatrice scientifica, di questo parlavano di solito.
Sapevano entrambi che una facile carriera nella Martinez Corp non avrebbe fatto per lei, era un bene avesse deciso di seguire le proprie aspirazioni.

Suo fratello Luke, invece, ne aveva quasi fatto una questione d'orgoglio il rilancio dell'azienda. Dal canto suo Edward si mostrò sempre entusiasta dei suoi successi semprè più brillanti, ma ormai non aveva più reale interesse a misurarsi coi Luthor: si era ritirato da quel campo di battaglia per combattere una guerra più efferata, che l'aveva irrimediabilmente segnato.

Martinez era pronto, guardò l'orologio al polso e come un'ombra sparì.
Berrà altro sangue la tua vendetta quest'oggi.
 
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Perry White GdR
view post Posted on 19/9/2004, 21:22




Giorno 8, Pomeriggio - Daily Planet, Metropolis

Dopo essersi svegliato di buon mattino Perry White era arrivato al Daily Planet in perfetto orario. Una volta entrato si ritirò subito nel suo ufficio perché aveva ancora molto lavoro del giorno precedente da sbrigare. Passò la mattinata davanti allo schermo del pc digitando freneticamente e leggendo con altrettanta velocità i risultati delle sue intense ricerche.
Verso le due la sua segretaria bussò timidamente alla porta dell'ufficio. Perry era talmente assorbito dal lavoro che riuscì a seguire solo l'ultima parte del discorso della donna.

"A dopo signor White. Vuole che le faccia portare qualcosa o ci raggiunge alla mensa?"
"Mandi un fattorino con del cibo italiano, grazie"
"Buon pranzo"
"Altrettanto a lei"
Perry aveva intenzione di rileggere per l'ennesima volta il rapporto sulla scatola nera del jet della LuthorCorp precipitato.

Non appena terminò, lo squillò di un telefono ruppe il silenzio del giornale ormai deserto. Molti dipendenti, infatti, approfittavano della mensa per il pranzo, dove potevano anche scambiare due chiacchiere coi colleghi; in pochi coloro che come Perry si trattenevano alla propria scrivania.
Alzata la cornetta venne informato che nei pressi di Edge City un'auto, intestata a Lex Luthor, era stata rinvenuta distrutta a causa di un'esplosione probabilmente dolosa! Dopo aver attaccato il telefono, Perry cominciò ad andare avanti e indietro nel suo ufficio, sudava freddo e pensava a quanto la faccenda stesse diventando complicata e di pari passo pericolosa. Nella sua mente si agitavano mille pensieri; avrebbe dovuto lasciar perdere le indagini sul giovane Lex, ma il suo spirito giornalistico non poteva coltivare fino in fondo un'idea simile.

Ad un tratto fu quasi certo di sentire un rumore provenire dalla porta alle sue spalle. Non fece in tempo a girarsi, per controllare cosa fosse, che una figura nera lo afferrò per il collo e vi ci passò attorno un cavo metallico. Perry si oppose con tutte le sue forze alla presa; dimenandosi furiosamente tirò a terra una catasta di carte e vari oggetti che si trovavano sulla sua scrivania ma sembrava la fine: il suo aggressore faceva sempre più forza col filo intorno al suo povero collo, paonazzo per la terribile pressione. Quando ormai stava per perdere i sensi, un guizzo fendette l'aria, poi un tonfo e il silenzio. L'uomo aveva lasciato la presa ed era caduto al suolo senza un’apparente ragione.

Perry si passò istintivamente una mano al collo e iniziò a respirare affannosamente per prendere aria. Il cuore gli batteva fortissimo e la vista era appannata. Accanto a lui si trovava il corpo dell'aggressore immerso nel sangue, con un foro alla testa, era morto all'istante. Quando si voltò scorse un uomo vestito di nero, che teneva il braccio destro proteso in avanti, stringendo in mano una pistola con un silenziatore ancora fumante; era stato lui a salvargli la vita.


post scritto con la collaborazione di Luke Martinez
 
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Helen Bryce GdR
view post Posted on 1/10/2004, 16:43




Giorno 8, nei pressi di Edge City, Pomeriggio

Helen era chiusa ormai nella stanza da parecchie ore. Si chiedeva quando Lex sarebbe venuto a liberarla da questa prigionia forzata e ancora di più si stava chiedendo se avrebbe dovuto rivelargli ciò che si era ricordata. Forse non aveva alcuna importanza, ma soltanto Lex aveva gli strumenti per scoprirlo. Dal momento in cui si era coricata le era sembrato che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa che avrebbe dovuto ricordare, ma non riusciva a venirle in mente cosa. Era solo una sensazione o era reale, aveva visto o sapeva qualcosa di importante che non riusciva a collegare? La notte, come spesso accade, porta consiglio…Aveva dormito sodo e a lungo per riprendersi dallo shock e dalle emozioni della sera precedente. Si era svegliata dopo mezzogiorno e aveva aimé scoperto di essere stata chiusa da Lex nella stanza. Ma sapeva sarebbe tornato presto, e così accadde. Lex aprì la porta e la salutò
"Buona giornata Helen"
Era ora! Lex, dove sei stato finora?" disse Helen leggermente seccata
"Ho fatto alcune ricerche..."
"E hai scoperto qualcosa di interessante?"
"Non abbastanza perchè possa già ucciderti, purtroppo. E a questo proposito sarebbe ora che tu cominciassi a rivelarti utile..."
"Helen lo guardò dubbiosa. Che fare? Dirglielo o no? Soprattutto che avrebbe fatto Lex dopo? Decise che non aveva molta scelta. Primo doveva fidarsi di Lex e secondo quello che stava per dire poteva essere irrilevante, anche se non lo credeva.
"In effeti, Lex, c’è una cosa che devo dirti... è da ieri sera che c’era un pensiero che mi tormentava, ma non sapevo cos’era. Poi capisci che due attentati alla vita in poche ore non mi hanno permesso di rilassarmi molto." Helen disse le ultime parole con una leggera ironia della voce.
Lex non rinunciò a una frecciatina:
"Credimi, è molto peggio precipitare in mare con un aereo."
Helen fece finta di non aver sentito: "Beh, vedi ero convinta di aver visto qualcosa e stamattina come per miracolo mi è venuta in mente. Johnny l’uomo che doveva farmi i documenti falsi e che era d’accordo con i nostri assassini aveva qualcosa di strano. La prima volta non l’ho visto. Ma ieri sera quando ha smosso i fogli che mi hanno mostrato la mia foto gli si deve essere spostata anche l’orologio che aveva mal messo al polso"
"E allora?"
"E allora ho notato che aveva un piccolo tatuaggio al polso. Un giglio stilizzato."
"Non so proprio come un semplice tatuaggio possa aitarmi..."
"Quel tatuaggio lo aveva anche il mio ex-ragazzo Paul. Lo ricordi vero? Lui faceva parte dell’organizzazione. Era il mio tramite."
"Ora comincia a essere chiaro."
"Già, potrebbe essere un tatuaggio che i membri dell’organizzazione si fanno. E forse ha un significato."
"Non è molto, ma per ora ti lascerò vivere nella speranza che la tua memoria recuperi qualche altra informazione."
Detto questo Lex fece per uscire dalla stanza, ma Helen lo fermò:
"Lex aspetta, mi devi dire quello che intenzioni hai."
"Devo fare delle ricerche. Tu resta qui. Tornerò presto."
Uscì e richiuse la porta. Helen rimase nella stanza, tutt’altro che felice per quello che avrebbe fatto Lex.

Nell'esatto momento in cui Lex fu sulla strada, un'auto elegante nera sia accostò a lui.

"Sei in perfetto orario, Adam" disse Lex rivolto all'autista,
"Hai portato quello che ti ho chiesto?"
Adam gli allungò un telefono cellulare e Lex scambiò qualche battuta con la persona dall'altro capo.
"Allora conto su di te per controllare Helen. Non posso fidarmi di lei." concluse prima di chiudere la comunicazione.
Salì sulla vettura e diede disposizioni al conducente.

"E ora facciamo visita al signor Dawkins, Adam."
 
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Luke Martinez GdR
view post Posted on 1/11/2004, 17:51




c'è ma non si vede.
 
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Perry White GdR
view post Posted on 1/11/2004, 17:52




arriverà? chi lo sa?
 
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Lex Luthor GdR
view post Posted on 1/11/2004, 17:54




8 Giorno, poco fuori Metropolis, sera

Era stato un ottimo giorno per Robert E. Dawkins. Aveva appena completato il suo lavoro e si preparava a ricevere sul suo conto svizzero un’ingente quantità di denaro. Tina, forse l’unica donna che avesse mai amato, aveva appena accettato di sposarlo e andare con lui in qualche isola del pacifico. Per la prima volta nella vita era deciso a ritirarsi, lontano dalle guerre, dagli omicidi e dalla violenza. Felice, leggero, innocente come bambino girava la chiave nella sua serratura di casa fischiettando. Senza accendere la luce appoggiò il sacchetto con la sua cena e si voltò verso l’interruttore e vedendo l’uomo seduto sulla sua poltrona si bloccò improvvisamente.

“Che ti succede Robert, hai visto un fantasma?” Chiese Lex alzandosi. “Oh dimenticavo, posso chiamarti Bob”
In tutta risposta Bob estrasse una pistola nascosta nella giacca. “Hai fatto male a venire qui, Luthor!”
“Al contrario, ho fatto benissimo. Ti consiglio di mettere via quella pistola se vuoi coronare i tuoi progetti con Tina.”
Bob rimase paralizzato per qualche secondo. Un terrore mai provato prima si impossessò del suo corpo. Non riusciva neppure a parlare.
“Avrai sentito parlare del maggiore Aleister Brighton, lavorava per il Mi-6, finché non fu accusato di alto tradimento. Mio padre aveva buone ragioni per aiutarlo, gli diede un’altra identità e ora è Adam, il mio autista. In questo momento sta pedinando la tua ragazza e ha l’ordine di ucciderla se io non uscirò di qui con quello che cerco.”
Bob era bloccato dall’unica minaccia che non avrebbe mai potuto affrontare. “Come diavolo hai fatto a scoprire di me e di Tina?”
“La mente dell’astuto manipolatore Bob offuscata dall’amore... quale parte della frase ‘il mio autista era un ex-agente del Mi-6’ ti devo rispiegare?”
“Ok senti, ti dirò tutto quello che vuoi ma lascia stare Tina...”
“Farò di più, ti lascerò partire con lei, dopotutto non sei tu che mi interessi. Ti basterà solo rivelarmi tutto quello che sai sull’organizzazione che ha tentato di uccidermi.”
“Non credo di avere molta scelta” sospirò Bob. “Comunque non so molto. Si chiamano l’Ordine del Giglio, sono una specie di società segreta i cui membri portano un giglio tatuato sul braccio...”
“Tu non hai nessun tatuaggio”
“Io non sono tra i soci. Ho solo accettato un lavoro che mi avevano offerto dopo aver eliminato Gordon, che indagava su di me... Per quel che ne so io la cosa funziona così: i membri dell’Ordine si impegnano a sostenersi a vicenda, soprattutto per cose poco legali, evidentemente. Al di fuori dell’Ordine i soci non hanno alcun collegamento fra loro in modo tale che quando uno commette un delitto per conto di un altro difficilmente avrà qualche movente e sarà collegato al fatto commesso. La segretezza è garantita dal fatto che sono tutti implicati in reati gravissimi e nessuno avrebbe mai il coraggio di raccontare tutto...”
Lex ascoltava attento. “Intuivo una cosa del genere, ma puoi dirmi come posso scoprire chi mi voleva morto?”
“Diversi membri possono esserne a conoscenza, ma solo i cinque della Prima Loggia lo sanno per certo.”
“Cos’è questa Prima Loggia?”
“Il vertice dell’Ordine. Loro hanno sotto controllo ogni cosa e ci sono voci che dicono che il loro scopo sia accumulare un potere tale da avere tra le mani i destini del mondo. Contattarli senza essere nell’Ordine è tuttavia impossibile.”
“Non c’è modo di entrare nell’Ordine?”
“Non puoi, sei nel loro mirino. L’unico modo è uccidere chi ti vuole morto.”
“Un circolo vizioso. Per scoprire chi ha ordinato il mio omicidio devo ucciderlo io stesso.”
“L’Ordine non è una preda facile. Uomini più potenti di te hanno tentato di opporvisi senza successo. Ti dice niente il nome Kennedy?”
“Queste storie non mi impressionano. Se non hai altro da dirmi me ne vado.”
“Ti ho detto anche troppo, se l’Ordine in questo momento non ti credesse morto non avrei mai parlato.”
“L'avresti fatto, per Tina. All’aeroporto centrale di Metropolis troverai due biglietti per le isole Caiman, volo delle 12 di domani. Se non lo prenderai farò uccidere te e la tua donna.”
“Lo prenderò. E’ quello che voglio, dopotutto.”
“Buon per te. Addio Bob” concluse Lex dirigendosi alla porta
“Addio Luthor, maledetto bastardo” disse Bob con un sospiro di sollievo

Lex sorrise. La conquista del Mondo... questo Ordine comincia a rivelarsi interessante...
 
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Lucas Luthor GdR
view post Posted on 1/11/2004, 17:55




Giorno 8, nei pressi di Edge City, sera


“Temo di essere in ritardo per baciare la sposa.”
Helen guardò perplessa il ragazzo appena entrato: “E tu chi saresti?”
Lucas varcò la soglia della stanza trasformata in prigione, chiuse il battente dietro di sè facendolo scivolare, infilò un tesserino magnetico in tasca, chiudendo la lampo con uno scatto secco e allentando il colletto della tuta impolverata.
“Il tuo mezzo cognato, dottoressa. Quello che Lex non ha invitato al matrimonio.”
Un lampo di illuminazione attraversò gli occhi di Helen. “Lucas, certo…Lex mi ha parlato di te, ma non sapevo che vi sentiste ancora. Lex non me lo aveva detto.”
“Siamo quasi pari: io non so di te più di quanto dicono le fonti ufficiali e...” Lucas sorrise ironico, passandosi le dita fra i corti capelli ricci. “... sappiamo benissimo quel che valgono.”
”Forse è meglio così” Rispose laconicamente Helen “Ma che ci fai qui?”
“Lex mi ha chiesto di tenerti d’occhio. Mio fratello non me la racconta giusta, ma mi ha raccomandato di non farti uscire e di stare attento a quello che potresti fare.”
Lucas nel frattempo aveva ispezionato coscenziosamente la stanza. Non che ci fosse voluto un grande sforzo: già era quasi vuota e polverosa in partenza, poi Lex aveva pensato ad eliminare quel che avrebbe potuto essere usato come arma o per tentare un'evasione.
“Suite davvero originale, per una luna di miele.” Lucas si alzò in punta di piedi per sbirciare fuori dalle finestre alte e strette, afferrò la grata che le bloccava e vi si appese con tutto il suo peso, flettendo le braccia. “Ma se c'è qualcosa che a mio fratello non manca è l'originalità.” Si lasciò ricadere a terra con un tonfo leggero. “Pensa che nel giro di due giorni è passato dal pretendere che accettassi un posto da dirigente all'affidarmi... un incarico da secondino.”
”Una carriera folgorante” rispose ironicamente Helen “Sarà un piacere averti come cane da guardia” disse ancor più ironicamente, mentre con lo sguardo osservava la sua nuova “seccatura”.
Lucas tirò un calcio ad una brandina ripescata chi sa dove e trascinata nella stanza.

“Comunque sia, dovremo farci compagnia... finché Lex non si degnerà di ricordarsi di me per affibbiarmi chi sa quale altro dannato incarico.” Si sedette sulla brandina, saggiando con una smorfia la scomodità del materasso. Il suo sguardo cercò gli occhi di Helen. “Lex ti ha detto cosa faccio per vivere?”
”Non molto, ma mi ha detto che non era nulla di legale. Vivacchiavi con piccoli imbrogli” Disse Helen, mentre i suoi occhi scuri continuavano a osservare il suo carceriere e la sua mente cercava di studiarne un punto debole.
“La mia specialità sono le carte. E non ho problemi a truccare la partita, se necessario.” gli occhi nocciola ebbero un lampo calcolatore, sotto le folte sopracciglia. “Perché per me vincere non è un gioco, è questione di sopravvivenza.”
“Una massima che condivido appieno” sorrise sornionamente Helen che ora guardava il ragazzo con sempre maggior interesse.
Il volto di Lucas si illuminò di un sorriso inaspettato. “Abbiamo qualcosa in comune, ci hai fatto caso? Siamo due aggiunte abusive alla nobile famiglia Luthor.” Il giovane si appoggiò al muro, intrecciando le braccia dietro la nuca. “Lex mi ha spiegato molto poco di questa storia, e giocare al buio non mi piace. Dammi la tua versione, Helen.”
“Certo Lucas, credo che sia ora di rimescolare un po’ le carte in tavola…” E sul volto di Helen apparve un sorriso ancor più luminoso.
 
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94 replies since 2/2/2004, 02:21   38071 views
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